AIDOP continua il suo impegno socio sanitario autonomamente ed in collaborazione con le Associazioni con le quali è in essere una partnership, rivolgendo attenzione anche alle problematiche emerse nel corso della gestione della emergenza Covid19, che ha seguito dall’esordio con spirito solidale a tutti i suoi associati ed ai concittadini.

Gli atteggiamenti tenuti da coloro che hanno gestito a livello politico e amministrativo le scelte progressivamente adottate nelle varie fasi dell’emergenza, hanno generato e non mancheranno di generare nei mesi a venire dibattiti e prese di posizione da parte di istituzioni, cittadini, pazienti e loro familiari.

AIDOP ha avviato e continua una serie di web conferences che mettono a confronto con la sua dirigenza, non conferenzieri e super specialisti che hanno vissuto dai set televisivi l’emergenza Covid19, ma medici di prima linea impegnati sul territorio e nei pronto soccorso, medici del pronto intervento e delle terapie intensive, medici legali incaricati di riscontri autoptici, avvocati interpellati per rivendicazioni su presunti danni sanitari o errori gestionali, pazienti o comuni cittadini ed esponenti della stampa.

Le considerazioni in itinere, che riporto di seguiti, sono uno stimolo a continuare una indagine conoscitiva che non manca di svelare dettagli sconcertanti in vari ambiti professionali:
negli ospedali sufficientemente strutturati si è attuata una dicotomia per destinare spazi e risorse umane specifiche all’emergenza Covid19 rendendoli il più possibile indipendenti e isolati dalle altre discipline; ciò ha creato seri problemi di gestione per le prestazioni ambulatoriali, per i reparti chirurgici e le sale operatorie, per le attività diagnostiche strumentali che hanno portato alla sospensione ed alla chiusura di buona parte delle prestazioni. Benché il DPCM del 31 gennaio 2020 avesse dichiarato di fatto lo stato di emergenza sanitaria per la virosi in arrivo, non risulta chiaro a chi sia attribuibile la responsabilità della mancata allerta e mancata adozione di risorse e presidi atti a fronteggiare la minaccia che ha caratterizzato la condotta di molte realtà sanitarie. Peraltro enti come il San Matteo di Pavia, lo Spallanzani di Roma, il Sacco di Milano si sono invece dimostrati attenti nel percepire la liceità dell’allarme emanato dal decreto governativo: per zelo della dirigenza o perché sono stati allertati direttamente solo alcuni ospedali?

Istituita la zona rossa nel lodigiano per l’esplosione del contagio, il San Matteo di Pavia ha drenato il 40% degli accessi in più, rispetto ai tempi normali, di pazienti provenienti da quel territorio. L’istituzione di un pronto soccorso Covid19 dedicato non ha impedito la diffusione del contagio perché il flusso troppo elevato non ha potuto rispettare le divisioni. La gravità dei quadri clinici in arrivo era spesso, dato molto significativo, direttamente proporzionale alla distanza ed ai tempi di percorrenza dal prelievo a domicilio all’arrivo in ospedale. L’arrivo alla struttura diventava l’accesso ad un “Limbo” di incertezza, di mancate indicazioni sulle condizioni e sulla destinazione per i pazienti, se coscienti, e per i parenti che perdevano ogni contatto con i loro congiunti.

E’ subentrato ben presto il problema della gestione dei decessi che ha destabilizzato l’organizzazione degli operatori sanitari subissati dalla sproporzione tra il loro numero e quello delle prestazioni e delle situazioni da gestire. Necessariamente l’identità del paziente, o del deceduto, diventava un momento gestionale transitorio e pressato da esigenze incombenti e di maggiore gravità.

Di necessità alcune figure professionali sono state destinate esclusivamente ai contatti con medici di medicina generale in pressing per gestione di urgenze, pazienti a domicilio presi dal panico e disattenti alle indicazioni sui contatti consigliati, parenti alla ricerca di congiunti dei quali non conoscevano collocazione e condizioni di salute, informazioni spesso non accessibili anche da parte dei preposti.

L’aura di stress per l’esposizione al rischio di contagio diventava progressivamente pressante per tutto il personale che, inevitabilmente, non poteva prescindere dall’essere, oltre che operatore, anche coniuge, padre, figlio di persone che a casa sarebbero state a rischio di contagio al loro rientro quando non da contatti esterni.

Tutte queste sfaccettature gestionali, ancorchè esercitate con il massimo impegno possibile, hanno dato e daranno adito a critiche più o meno legittime o più o meno opportunistiche.

In considerazione di questa eventualità da più parti si è fatto appello alla immunità per il personale sanitario, opzione per la quale Aidop è stata sollecitata alla condivisione, a fronte di una ondata di iniziative di studi legali e di aziende che hanno reso disponibili i loro avvocati per farsi carico di istanze di rivendicazione per presunti errori gestionali, diagnostici, terapeutici. Non da ultimo l’appello a presunte illegalità ed a inadeguate gestioni dell’emergenza viene esercitato nei confronti delle dirigenze delle RSA e di tutti gli istituti per anziani che hanno visto decimare dalla virosi il numero dei loro ospiti.

Gli ordini degli avvocati, alcuni almeno, hanno allertato, quando non diffidato i loro iscritti sull’adozione di atteggiamenti sciacallistici che illudessero i cittadini di facili risarcimenti.
Il parere legale emerso dai nostri incontri considera inevitabile il fatto che sulle scrivanie legali giungeranno istanze e richieste di indennizzi, ma non in numero spropositato per consapevolezza comune della eccezionalità della situazione contingente. E’ abitudine diffusa e ormai acquisita (quando non indotta o caldeggiata) compensare il dolore con un rimborso economico. In assenza di linee guida per emergenze come quella che viviamo, che comunque sarebbero state solo di impiccio e paradossalmente condizionanti, ci si appellerà alle lesioni colpose, all’omicidio colposo, si reclameranno responsabilità disattese. Da un punto di vista umano e razionalmente, l’avvocato comprende e condivide la delicatezza della situazione degli operatori sanitari, ma non è possibile pensare ad una immunità.

Compito nostro, delle prese di posizione inter associative, degli input mediatici dovrebbe essere quello di rendere consapevole i cittadini, sia coloro che vivono l’esperienza a margine perché fortunatamente non sono stati coinvolti direttamente e familiarmente, sia quanti hanno purtroppo pagato questa virosi con perdite importanti a livello affettivo, che quando la natura esprime la sua forza, soprattutto in forma negativa, i limiti dell’uomo diventano evidenti malgrado professionalità e volontà. Esiste uno stato di necessità che in alcuni frangenti non può essere gestito da regole. Esaltare come eroi i medici e gli infermieri con applausi e striscioni nel momento di panico, ma accusarli di imperizia, di negligenza, di errore a bocce ferme sarebbe ipocrita e opportunistico.

Anche enti istituiti come le ATS (vedi Bergamo) hanno incaricato legali di entrare nel merito di operati sanitari estendendo, giustamente, l’indagine anche sui medici funzionari e gestori di realtà ospedaliere, di RSA, di istituti per anziani. Nelle retrovie, come in guerra, si è più tutelati e, apparentemente, meno esposti alla critica, ma a fine conflitto le responsabilità delle scelte sono sempre emerse e per fior di dirigenti le responsabilità sono risultate lampanti. Che ne abbiano poi pagato le conseguenze è purtroppo un riscontro eccezionale.

Esiste pertanto, comunque a mio parere, un range di situazioni, che in emergenza conclamata devono essere considerate come potenzialmente condizionanti per scelte non ideali, non valutabili se non a posteriori e talvolta con esito negativo e penalizzante. I sindacati medici si sono schierati, per principio, contro le richieste di indagine e, peccando di superficialità e presunzione, non chiedono un confronto tra istituzioni, management politico-sanitario, avvocati e pazienti per individuare un ambito di valutazione comune. Gli Ordini dei Medici in tutta questa emergenza Covid19 hanno dimostrato di essere gestiti prevalentemente dalle segreterie e di non essere, lo sapevamo, molto attenti e partecipi alle emergenze delle professionalità da cui traggono sussistenza. La loro esistenza, già ritenuta poco opportuna e poco rappresentativa, viene ulteriormente messa in discussione e merita anch’essa riconsiderazione a fine emergenza, laddove no traesse da questa un input rinnovativo.

Anche i medici legali, collocati professionalmente a cavallo tra gli ambiti del contendere, tutelano e supportano la professionalità e l’autonomia del medico nella gestione del paziente e legittima la presa di posizione nei suoi confronti che però non lo deve indurre al sentirsi sminuito o per forza colpevolizzato. Sollecitano alla fiducia nei pubblici ministeri con i quali sono soliti rapportarsi con maggiore disinvoltura, un po’ come l’elettricista quando lavora con i cavi dell’alta tensione, se vogliamo. Per questo, si appellano anche alla idoneità dei mezzi, altro concetto che riveste estrema importanza nella valutazione, caso per caso, di quelle che verranno reclamate come situazioni di responsabilità messa in discussione. Che dire poi del nesso di causa tra le scelte effettuate e le conseguenze a medio e lungo termine: nelle RSA, negli istituti per anziani dove i decessi per virosi Covid19 hanno avuto una escalation assolutamente inattesa. Eppure, col senno di poi, da tutti valutata prevedibile e quasi logica.

Ne sono consapevoli e ne hanno preso atto i politici, regione per regione. Le notti insonni e l’ansia accumulata nella formulazione delle disposizioni che inevitabilmente si rivelavano insufficienti col passare dei giorni, l’assillo della ricerca di presidi di terapia intensiva, la necessità di reperire forze lavoro mediche ed infermieristiche per arginare l’ondata crescente dell’afflusso dei pazienti, sicuramente avranno fatto loro riconsiderare tutti i tagli alla sanità effettuati negli ultimi anni. Sicuramente si saranno resi responsabili di scelte inappropriate in passato e in emergenza Covid19, ma l’essere stati supportati mirabilmente e con abnegazione dal personale sanitario ed il realizzare che solo ai medici, agli infermieri, alla ricerca si deve il superamento di questa emergenza, li dovrà indurre inevitabilmente a riconsiderare l’indispensabilità di un maggiore confronto futuro con il comparto sanitario per una gestione ottimale della salute dei cittadini.

Personale sanitario che ha sacrificato decine di vittime al virus, medici ed infermieri che erano impossibilitati nei loro ambulatori sul territorio, nei reparti ospedalieri, negli istituti per anziani, ad esercitare e gestire i pazienti usufruendo di presidi di tutela adeguati. Si è ribadita più e più volte la centralità del medico di medicina generale per la gestione dell’emergenza virus sul territorio per evitare l’iperafflusso agli ospedali, ma spesso chi ha gestito, non protetto, ha sacrificato la sua vita. Ats non raggiungibili, Ordini dei medici assenti, Amministrazioni provinciali e regionali fantasma hanno lasciato per settimane che la ricerca di mascherine e camici fosse un esercizio assillante e vano. Le tute per gli imbianchini, acquistate autonomamente, sono andate a ruba finchè i negozi non si sono chiusi. Molti studi medici sono rimasti chiusi per giorni e molte realtà territoriali non avevano un riferimento sanitario se non gli inarrivabili numeri verdi.

Di tutto questo dovremo fare tesoro nella consapevolezza che uno tsunami non si può fermare con un molo e che un fiume in piena travolge qualsiasi argine fatto con sacchi di sabbia a dimensione umana.

Tutto quanto abbiamo vissuto e vivremo con il Covid19 dovrà recuperare e incentivare il nostro senso civico e sociale. Rispettare la natura, rivisitare le nostre città vivendole senza opprimerle, riscoprire il piacere della solitudine o del vivere in un ambito familiare contenuto, ma ricco e caldo di solidarietà dovrà farci sentire più cittadini di uno stesso popolo, più solidale, più compatto, più comprensibile nella sua, spesso misconosciuta, necessità di riconoscere di avere dei limiti, salvo definirne gli estremi.

Medici. Infermieri, politici, amministratori, avvocati, giornalisti, opinionisti e quaquaraquà, siamo tutti sotto la stessa bandiera, tricolore si con il cuore, blu stellata con la mente, ma umanamente sotto una bandiera che non abbiamo mai realizzato, quella del mondo che ci ospita.

    Presidente AIDOP
    Carlo Bargiggia